Arte a Torino

Dell’età romana rimangono a Torino solamente la monumentale Porta Palatina e reperti del teatro romano e delle mura, frammenti della romanità incorporati poi in altri edifici.
Presso l’antico quadrilatero romano, nei pressi del Duomo di San Giovanni, al fondo di Via XX Settembre, riaffiorano spesso cimeli di epoca romana, man mano che proseguono gli scavi in questa parte più antica della città.

Il Duomo di Torino

Il Duomo di Torino

Ciò che rimane della Torino medievale è scarso: vi sono parti del Castello, ossia di Palazzo Madama, eretto e ampliato nei secoli XIII-XIV e completato nel XV secolo da Ludovico di Savoia-Acaia; la chiesa di San Domenico, anch’essa molto rimaneggiata, abbellita da affreschi coevi (XIV secolo), profondamente alterati da vari rifacimenti.

Vi è inoltre il campanile del Duomo e quello della basilica della Consolata, già noto come Torre di Sant’Andrea, costruito fra il 980 ed il 1014, contenente mattoni provenienti quasi di certo dalle antiche mura romane. E’ alto quaranta metri, eretto su una base quasi quadrata, e si prospetta con uno stile romanico-lombardo. La cella per le campane venne aggiunta nel 1406.

Lo stile rinascimentale vero e proprio si affermò nel Duomo, dedicato a San Giovanni, costruzione dovuta al toscano Meo del Caprina e innalzata tra il 1491 ed il 1498, cattedrale “trina”, ossia costruita su tre chiese preesistenti, similmente a quanto avvenne in alcune delle maggiori cattedrali di Francia.

Oltre al Duomo, del periodo rinascimentale possono ancora considerarsi, tardivamente, parti della Cittadella, mentre si nutrono dubbi sul Palazzo Scaglia di Verrua, in Via Stampatori 4, ritenuto da taluni sorto alla fine del Cinquecento.

Il numero esiguo di opere rinascimentali sembrerebbe dovuto, almeno in parte, al fatto che Torino non ebbe un proprio Rinascimento, venendo spesso ignorata da quei personaggi illustri del passato che raggiungevano l’Italia soffermandosi in alcune maggiori città.

Il passaggio fra l’epoca rinascimentale e quella barocca è contraddistinto da un grande nome, l’architetto e ingegnere Ascanio Vittozzi (1539 – 1615), spesso definito “padre dell’urbanistica torinese” per aver gettato le basi di quel reticolato di vie regolari che non sarebbe più stato abbandonato, e per aver firmato alcune importanti chiese di Torino, come quella del Corpus Domini, della Santissima Trinità e di Santa Maria del Monte o dei Cappuccini. Anche la sistemazione di Piazza Castello e l’apertura della Via Nuova (oggi Via Roma) portano il suo nome.

Chiesa di Santa Maria del Monte

Chiesa di Santa
Maria del Monte

Nel periodo barocco, con Carlo di Castellamonte e suo figlio Amedeo, già nel XVII secolo, la città si fece ancora più monumentale, accentrata intorno ad un nuovo punto focale, la magnifica Piazza San Carlo, cinta da portici e da case dagli uniformi, armonici prospetti.

Ai Castellamonte si devono, tra l’altro, il Palazzo Reale dal semplice, monumentale prospetto, il grandioso Castello del Valentino, ispirato a modelli francesi, l’assetto di Piazza San Giovanni, la reggia di Venaria, il Castello di Moncalieri ed il progetto del grande maneggio reale più noto come “Cavallerizza”, impiegato pure come area espositiva di forte attrazione.

Operavano nella prima metà del XVII secolo altri architetti, come Andrea Costaguta e Maurizio Valperga, pittori come Tanzio da Varallo, il Morazzone, il Moncalvo, stuccatori e decoratori assai abili, che abbellirono il Castello del Valentino e numerose chiese.

In particolare, Andrea Costaguta, carmelitano scalzo, lasciò opere innovative al Castello del Valentino ed al Castello di Moncalieri, contribuendo ad arricchire chiese come quella di Santa Teresa, dov’è custodita la tomba di Madama Reale, sua benefattrice.

Altri architetti di forte rinomanza furono Francesco Lanfranchi, pittore e progettista, ed il figlio Carlo Emanuele Lanfranchi, a cui si devono il Palazzo di Città, che si affaccia sulla piazza omonima, le chiese della Visitazione, quella di San Rocco e la chiesa dedicata a San Giuseppe, in Via Santa Teresa.

Uno tra i maggiori architetti barocchi, il modenese Guarino Guarini (1624 – 1683) fu, dopo l’esperienza del Vittozzi e del Castellamonte, il regista dell’originalità, il matematico che conciliava spazi e forme, mirabilmente. Suoi il progetto e la realizzazione della cappella e della cupola per la Santa Sindone, dando due tra i massimi capolavori di tutta l’arte barocca. Al Guarini si devono anche il Palazzo Carignano, quello dell’Accademia delle Scienze, e la chiesa di San Filippo Neri, poi rifatta da Filippo Juvarra. Si ricorda inoltre il santuario della Consolata, rifatto dal Guarini e molto rimaneggiato nel XVII secolo, che consta di un corpo ellittico e di un corpo esagonale affiancati.

Palazzo Carignano

Palazzo Carignano

Gian Francesco Baroncelli, collaboratore di Amedeo di Castellamonte, sostituì il Guarini nel cuore dei principi sabaudi, e firmò edifici come Palazzo Graneri e Palazzo Barolo, notevoli entrambi per l’imponenza.

Negli ultimo decenni del XVII secolo e nei primi anni del XVIII secolo un grande fervore di opere portò all’arricchimento delle chiese già innalzate e alla costruzione di nuovi edifici. Operavano in questi anni Gian Giacomo Plantery (1680 – 1756), autore del Palazzo Cavour e del Palazzo Paesana di Saluzzo, in Via della Consolata, e Michelangelo Garove (1650 – 1713), cui si deve il progetto per il Palazzo dell’Università, il Castello di Venaria, il Palazzo Asinari di San Marzano, la ricostruzione del Castello di Rivoli, devastato dall’incendio del 1963.

E’ tuttavia Filippo Juvarra (1678 – 1736), con la sua presenza, a caratterizzare Torino dal 1714 al 1735. Juvarra innalzò il prospetto di Palazzo Madama, la celebre “facciata senza palazzo” applicata alle mura del castello medievale; abbellì il Palazzo Reale, costruendovi la “Scala delle forbici”, e chiuse parzialmente Piazza San Carlo con l’elegante prospetto della Chiesa di Santa Cristina. Al grande architetto si devono anche alcuni notevoli palazzi, la chiesa ellittica di Santa Croce e quella slanciata e monumentale del Carmine, oltre ad altari, cappelle e altre opere minori. Alcuni suoi fondamentali capolavori, inoltre, sono la Palazzina di Caccia di Stupinigi e la Reale Basilica di Superga, sulla collina, eretta, vuole la tradizione, in adempimento del voto fatto per la liberazione di Torino dall’assedio del 1706 e divenuta cripta sabauda.

Palazzina di caccia di Stupinigi

Palazzina di caccia di Stupinigi

Antonio Felice Devincenti (1690 – 1778), progettista del grande edificio dell’Arsenale allineato lungo la via omonima, e Benedetto Alfieri (1700 – 1767), primo architetto del regno di Sardegna nel 1739, zio di Vittorio Alfieri, completano la serie dei grandi urbanisti che diedero un volto nuovo alla città.

Bernardo Antonio Vittone (1705 – 1770), sembrò concludere la serie dei grandi del Settecento. Progettò molte chiese, partecipò al loro abbellimento come la chiesa di Santa Chiara, la chiesa di Santa Maria di Piazza, l’altare maggiore di San Rocco, il tabernacolo dell’altare maggiore della chiesa del Corpus Domini, la chiesa di San Francesco d’Assisi e la celebre Cappella dei Mercanti, in Via Garibaldi, anche detta “Cortile degli Antichi Chiostri”.

Alla fine del XVIII secolo e per gran parte del XIX secolo predominò a Torino lo stile neoclassico, di cui rese testimonianza il tempio della Gran Madre di Dio, opera dell’architetto Ferdinando Bonsignore (1760 – 1843). Nella seconda metà del secolo fu attivo Alessandro Antonelli (1798 – 1863), autore della Mole Antonelliana, simbolo della città, che caratterizza in modo inconfondibile il panorama torinese.

La Mole Antonelliana

La Mole Antonelliana

Altri architetti che seguirono, corsero il rischio, al confronto, di apparire “minori”: Giuseppe Bollati (1819 – 1869), cui si deve, fra l’altro, l’assetto di Piazza Statuto, Alessandro Mazzucchetti (1824 – 1894), che collaborò con Carlo Ceppi (1829 – 1921) alla grandiosa facciata della stazione centrale di Porta Nuova.

Lo stile Liberty, così vario e pittoresco, nacque sulle rive del Po, in occasione di alcune delle grandi esposizioni che caratterizzarono l’epoca, la prima a Parigi, nel 1900, poi quella di Torino, sulle rive del Po, nel 1902. Artisti del Liberty furono Pietro Fenoglio (1865 – 1927), di cui rimase una costellazione di opere, Giuseppe Velati Bellini (1867 – 1926), Ermanno Vivarelli (1866 – 1914), Antonio Vandone (1863 – 1937), Annibale Rigotti (1872 – 1968), Eugenio Bonelli (1870 – 1936) e Pietro Betta (1878 – 1932).

Mentre lo stile Liberty svaniva, sorgeva, quasi per contrasto, un altro stile, alquanto aspro e grigio, con strutture che facevano pensare più ad officine che ad edifici di uso abitativo. Della nuova corrente stilistica fecero parte architetti che parevano disposti a rompere con il passato e ad imporre l’essenziale, in una schematizzazione a blocchi, sia per case normali, sia per edifici istituzionali.
Andrea Albertini (1916 – 1982) fu il progettista della sede del Museo dell’Automobile, in Corso Unità d’Italia; Vittorio Bonadè Bottino (1889 – 1979) è rimasto noto per avere concepito un progetto ad ampio respiro come il grande stabilimento per la FIAT Mirafiori.

Il Museo dell'Automobile

Il Museo dell’Automobile

Gino Levi Montalcini (1902 – 1974) firmò il progetto per il Palazzo delle Facoltà Umanistiche, in Via Sant’Ottavio e Giacomo Mattè Trucco (1869 – 1934) fu autore del colossale progetto per la FIAT Lingotto. Il complesso venne trasformato con un ampio disegno di recupero e oggi al Lingotto, dov’erano le vecchie officine, vi è una vasta area espositiva in grado di accogliere rassegne di alto livello, fra cui il conosciuto Salone del Libro.

Carlo Mollino (1905 – 1973) è un altro artista di questa fase architettonica, autore del progetto per la ricostruzione del glorioso Teatro Regio, in collaborazione con Carlo Graffi e Marcello Zevelani Rossi, mentre Riccardo Morandi (1902 – 1989) fu autore del vasto padiglione sotterraneo di Torino Esposizioni, costruito fra il 1958 ed il 1960.

Il Lingotto

Il Lingotto

Tre architetti chiudono questa fase che molti ritengono non ancora del tutto conclusa: Pierluigi Nervi (1891 – 1976), celebre per il Palazzo del Lavoro, sorto in occasione delle celebrazioni dell’unità d’Italia; Marcello Piacentini (1881 – 1960), l’urbanista più noto del periodo fascista, che firmò opere imponenti come il vecchio stadio comunale e Renzo Piano (1937 – ), che ebbe parte nella riconversione delle officine FIAT al Lingotto, con tecniche nuove che mirano a valorizzare le strutture nel loro schema originario ed essenziale.

 
 

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